Fabio Filzi: una scuola nel ricordo. Parte seconda

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Continua il nostro speciale sulla Grande Guerra. Vi presentiamo qui la seconda parte dell’articolo su Fabio Filzi e la scuola elementare di Alba Adriatica a lui dedicata, opera del nostro buon Luca. Buona lettura, e arrivederci alla terza parte!


Scuola elementare F. Filzi negli anni '30

Scuola elementare F. Filzi negli anni ’30

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Quello che prova una madre sopravvissuta al figlio è di certo uno dei più grandi dolori che essere umano possa sperimentare. Le ragioni della morte non sono mai un lenitivo della sofferenza. Sapere che Fabio Filzi è morto difendendo l’Italia non deve essere stata una consolazione per Amelia Ivancich. Non lo sarà stata nemmeno per l’insegnante Elvira Zanoni che, tuttavia, ha sempre raccontato alle sue scolaresche la storia del martire e patriota a cui è intitolata la scuola dove generazioni di miei compaesani si sono formati.

“Questo puro e giovine Martire della grandezza della Patria fu e sarà sempre citato ad esempio nelle mie lezioni ai piccoli figli d’Italia che domani forse potranno essere chiamati a difendere nuovamente i confini resi sacri dall’eroismo dei grandi Martiri…”[1]

Sono cosciente che queste parole possono oggi suonare stonate. Inneggiare ai martiri, alla patria, alla difesa dei confini nazionali è del tutto estraneo alla nostra formazione. Ma d’altro canto non dobbiamo cadere nel giudizio storico affrettato. Esprimersi in tal senso nel 1925 era la prassi. Una prassi non dettata solo dalla propaganda del neonato regime fascista ma realmente sentita nel cuore di molti italiani. Per quanto sia duro ammetterlo, è la Prima Guerra Mondiale che ha fatto gli italiani.
Un secondo episodio ci aiuta a comprendere questo legame. Ad Arzignano, paese del quale fu ospite Filzi prima di partire per il fronte, è stato dedicato un monumento alla memoria al giovane martire. Anche in quella occasione, la scuola di Tortoreto Stazione era presente. Ecco cosa scriveva l’insegnante in un telegramma alla famiglia Filzi per l’occasione:

“Ringrazio invito; non posso presenziare cerimonia condizioni salute; abbiano certezza che tutta scolaresca a me unita eleviamo memoria Martire più fervida preghiera piena ammirazione. Curino ritiro Arzignano corona bronzo che vorranno benignarsi murare monumento ricordo scolaretti e Loro insegnante.”[2]

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Come morì Fabio Filzi dunque?

Ci eravamo lasciati nel 1910, quando il giovane patriota non era che uno studente universitario impegnato nella causa irredentista. A Trieste fu sempre presente nella lotta per l’università italiana partecipando, e in qualche caso capeggiando, manifestazioni in sostegno della causa. Nel frattempo le nubi si addensavano sull’ Europa e la guerra diventò più di un’ opzione con l’escalation dell’attentato a Sarajevo. Nel 1914 scoppiò il conflitto. La prassi voleva che Fabio Filzi si arruolasse nell’esercito imperiale austro-ungarico e così avvenne. “Preferirei la morte più atroce all’ignominia di impugnare le armi per una causa aborrita” soleva ripetere il giovane e la sorte gli sorrise, per così dire. Il 15 novembre 1914, trovandosi in licenza presso la famiglia, disertò senza indugi.

L’Italia non era formalmente in guerra e Filzi prese parte a tutte le manifestazioni interventiste fino al febbraio 1915, quando passò al Comando militare di Verona come informatore. Nell’ottobre dello stesso anno divenne sottotenente nel sesto reggimento Alpini ed inviato come istruttore ad Arsignano. E’ rimasta nella memoria delle sue reclute la frase colma di cattivi presagi che pronunciò prima di congedarsi dai giovani che aveva addestrato prima di passare al comando di Cesare Battisti: “Andrete a Trento, ma passerete sui nostri corpi, sui nostri cadaveri. Viva l’Italia!”. Fabio Filzi non sapeva di andare incontro alla morte. Aveva il presentimento del suo destino? Forse quella netta sentenza celava un puro desiderio patriottico, morire per la causa che aveva sposato sin dalla giovane età.

Il 10 luglio 1916 prese parte con Cesare Battisti alla conquista di Monte Corno (massiccio del Pasubio), guadagnandosi la medaglia d’oro al valor militare e restando prigioniero degli austriaci.

Cesare Battisti al fronte


Cesare Battisti al fronte

 

“Nato e vissuto in terra italiana irredenta, all’inizio della guerra fuggì l’oppressore per dare il suo braccio alla Patria, e seguendo l’esempio del suo grande maestro Cesare Battisti, combatté da valoroso durante la vittoriosa controffensiva in Vallarsa nel giugno-luglio 1916. Nell’azione per la conquista di Monte Corno comandò con calma, fermezza e coraggio il suo plotone, resistendo fino all’estremo e soccombendo solo quando esuberanti forze nemiche gli preclusero ogni via di scampo. Fatto prigioniero e riconosciuto, prima di abbandonare i compagni, protestò ancora contro la brutalità austriaca e col nome d’Italia sulle labbra, affrontò eroicamente il patibolo.”

Il rapporto ufficiale austriaco termina con queste parole:

“La lettura della sentenza ebbe luogo alle 17.00… Durante la stessa il delinquente Filzi si mantenne del tutto indifferente, mentre invece Battisti esclamò ancora negli ultimi momenti: «Evviva l’Italia! Evviva Trento italiana!» Espressioni queste che furono ribattute dagli astanti con grida e «pfui»”[3]

Non gridò, certo, ma la calma e l’indifferenza feriscono più dell’odio. Filzi fu giustiziato poco dopo con Cesare Battisti, tra le 19.00 e le 20.00 del 12 luglio 1916, nella fossa del Castello del Buon Consiglio. Dopo circa tre ore i cadaveri vennero seppelliti in un angolo della stessa fossa.

Molti hanno sostenuto che fosse svenuto alla vista del patibolo ma le circostanze dell’episodio sono state smentite nel tempo da molti testimoni tra cui don Hermann Mang, cappellano con cui Filzi passò gli ultimi istanti. Interpellato a tal proposito rispose alla famiglia Filzi il 2 aprile 1924: “Ben volentieri Le confermo che Suo figlio non è svenuto neanche davanti al patibolo.” Come se non bastasse accorrono a testimonianza le parole del carnefice che alla domanda, “Come morì Fabio Filzi?”, rivoltagli dal Sig. Gerloni di Trento, rispose semplicemente: “Anche lui coraggiosamente. Non ha però gridato come il Battisti, ma trapassò con una grande calma.”[4]

Se mi si permette un parere del tutto personale non sono stato mai appassionato all’aneddotica. Avere paura di morire deve essere un diritto. Non stiamo a soffermarci sul comportamento di un giovane davanti al patibolo. Ci bastino le ultime parole dettate da Fabio Filzi al suo difensore dopo la sentenza di condanna:

“Cari genitori, prima di morire non posso fare a meno di esprimere il mio profondo rincrescimento, per il fatto che mi sovrasta, invero non per la mia esistenza, ma per voi che avete fatto tanto per me e che non approvaste i miei sentimenti italiani. Io ho sempre adempito il mio dovere con scrupolosità seguendo sempre l’impulso della mia coscienza. Prima di morire rivolgo il pensiero a voi e alla mia cara Emma[5], che si trova a Padova, e contro i cui consigli ho agito arruolandomi. Addio per sempre, baci ai miei fratelli. Fabio Filzi”.[6]

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Fabio Filzi e Cesare Battisti prigionieri in Aldeno (1916).

Fabio Filzi e Cesare Battisti prigionieri in Aldeno (1916).

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Note:

[1] La Libertà, 5 giugno 1925 in Una vita nella scuola Fabio Filzi, Alba Adriatica, 2004, p.50.

[2] Ivi, p. 49.

[3] Fabio Filzi, Estratto da Alba Trentina, Fasc. 54, Anno VII, nn. 3-4.

[4] La libertà, 3 gennaio 1922.

[5] Emma era la fidanzata di F. Filzi. Per maggiori approfondimenti rimando ad un mio prossimo articolo sul tema.

[5] Alba Trentina, Luglio- Agosto 1919 in Una vita nella scuola Fabio Filzi, Alba Adriatica, 2004, p.62.


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