La ricerca del Prete Gianni: l’appoggio dei cattolici italiani alla guerra d’Etiopia. Parte prima

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Benedizione del gagliardetto offerto dalla Milizia Portuale alle Camice Nere in partenza da Napoli per l’Africa Orientale


La guerra d’Etiopia è uno dei capitoli più vergognosi e al contempo meno conosciuti della nostra storia. Oggi il nostro indagatore di cose cattoliche Bruno ci parla di un suo aspetto particolare: come reagirono i cattolici italiani all’invasione dell’impero di Hailé Selassié? La bibliografia di riferimento verrà pubblicata insieme all’ultima parte del dossier. A proposito, avete dato un’occhiata alla nostra timeline sugli eventi della Guerra d’Etiopia?


Leggi qui le altre due parti dell’articolo:

Volendo considerare la storia del regime fascista come divisa in periodi ben precisi, contraddistinti da elementi di fondo omogenei, possiamo individuare nel 1929 un punto di svolta: la proclamazione dei Patti Lateranensi. Con essa si conclude la fase di “costruzione del regime”, della definizione istituzionale e politica delle sue caratteristiche. Abbandonato l’anticlericalismo delle origini, Mussolini riconosce l’importanza della religione cattolica per il governo della nazione e ne fa parte costitutiva del regime. Tralasciando i particolari, si può affermare che risolvendo finalmente la questione romana il regime appaia agli occhi di molti cattolici come lo strumento della Provvidenza nella costruzione di un nuovo ordine nazionale atto a sostituire quell’Italia liberale e anticlericale che tanto si era opposta all’azione della Chiesa sul territorio nazionale. Questo aspetto dei Patti prefigura quella che sarà la seguente fase della storia del regime, ovvero quella de “la creazione del consenso”.

I partecipanti e i firmatari dei Patti Lateranensi

I partecipanti e i firmatari dei Patti Lateranensi

Definite infatti nel giro di qualche anno le linee fondamentali del regime, il fascismo si occupa di creare nella popolazione una solida base di consenso, soprattutto attraverso politiche sociali e propaganda: un ruolo non da poco ha inoltre in questa fase la politica estera.

Fin dai suoi esordi il fascismo aveva reclamato la necessità di una revisione del trattato di Versailles, cavalcando lo scontento per la “vittoria mutilata”. Parte importante di questo scontento riguardava le mancate acquisizioni coloniali che nel 1915 erano state promesse all’Italia in cambio della sua discesa in guerra. Secondo Labanca[1] il successo di Hitler in Germania nel 1933 spinge Mussolini a moltiplicare i suoi sforzi in tal senso, temendo di poter essere scavalcato dall’alleato-rivale germanico che, ugualmente critico verso Versailles, minacciava di ottenere molto di più molto più velocemente di quanto il fascismo aveva fatto in circa dieci anni. A differenza di Hitler, Mussolini si muove attraverso i tradizionali canali diplomatici, ottenendo infine il sostanziale via libera, diretto o indiretto, delle potenze coloniali europee per l’invasione dell’impero abissino di Hailé Selassié. Il famoso incidente di Ual Ual nel dicembre 1934 sarebbe diventato presto il casus belli di una guerra già decisa da tempo.

Sul fronte interno è il momento della mobilitazione. La propaganda lavora in maniera estenuante ed efficace: sono vari i temi toccati per giustificare la guerra, ma il fine è unico: la creazione di una compatta comunità nazionale che si sentisse partecipe e protagonista dell’avventura etiopica. Scrive Del Boca:

«Molti, che poi diventeranno decisi avversari del regime appena scorgeranno gli aspetti odiosi della campagna africana, partono per l’Etiopia realmente convinti di costituire l’avanguardia benedetta di una nazione proletaria in cerca di terra e giustizia. Altri, animati da spirito crociato, partono persuasi di portare la luce, la civiltà, il benessere a un popolo dominato da una feroce e ottusa casta feudale.»[2]

La condanna della Società delle Nazioni, con la conseguente approvazione delle sanzioni per l’Italia, di fatto insufficienti a creare un vero danno all’industria italiana, dà l’occasione al fascismo di creare l’illusione di un’Italia assediata, circondata, costretta da potenze coloniali gelose del loro predominio e insensibili verso i bisogni della nazione e del popolo italiano. Il biennio 1935-1936 vede lo sviluppo di un iper-nazionalismo aggressivo e razzista che, forse per la prima volta dalla nascita del regime, faceva veramente breccia nella società italiana, radicandosi profondamente e portando con sé un carico di conseguenze che forse non fu pienamente compreso fino al suo tragico esplodere con la discesa in guerra del 1940.

Propaganda fascista in favore della campagna etiope

Il mondo cattolico ebbe in questa fase un ruolo determinante. Liberato dalla pregiudiziale contro lo Stato italiano dal Concordato del 1929, è finalmente libero di partecipare pienamente ed entusiasticamente alla vita civile e politica della nazione. Il già citato appoggio al regime dato da gran parte dei cattolici italiani si rivela un prezioso strumento per la propaganda, che a sua volta influenza profondamente le opinioni dei fedeli e del clero in un circolo vizioso di difficile soluzione.

La mobilitazione nazionale voluta da Mussolini è estremamente efficace. Oltre all’aspetto senza precedenti della mobilitazione materiale delle risorse e delle industrie italiane, tutt’altro che secondaria è l’impegno propagandistico. Per il regime questo è un momento fondamentale per testare la propria capacità di penetrazione nella società italiana, nonché l’efficacia delle sue aspirazioni totalitarie. Essa si compone da una parte di momenti spettacolari, atti a rinforzare la coscienza nazionale delle masse popolari e a dirigerla verso (e contro) il nemico d’oltremare, e dall’altra da una martellante propaganda quotidiana sui vari media a disposizione del regime.

Il sostegno dato all’impresa etiope da parte del mondo cattolico è un fatto senza precedenti nella storia dei rapporti tra cattolici e Stato liberale.

«In numerose prese di posizione pubbliche i vescovi espressero l’adesione più fervida alle iniziative del governo in Etiopia. Alti prelati benedirono le truppe e le navi in partenza per l’Africa orientale. La presidenza nazionale dell’Azione Cattolica adottò una linea di aperto sostegno alla guerra. Apprezzamenti decisamente politici nei riguardi del governo vennero dai diversi rami della Gioventù cattolica. Il gruppo di sacerdoti di Italia e Fede, che aveva una funzione centrale nell’orientare il clero di provincia e si era distinto nella mobilitazione a favore della battaglia del grano, ribadì il proprio sostegno alle mete imperiali e autarchiche del duce. La stampa missionaria, quella devozionale, il cinema e il teatro cattolici contribuirono a diffondere tra le masse popolari l’entusiasmo colonialista.»[3]

Non fu così fin dall’inizio. Per l’avventura africana del fascismo i cattolici italiani avevano fino a quel momento dimostrato una certa prudenza dettata anche e soprattutto dalla necessità di adeguarsi alle politiche vaticane. Il papa, infatti, per tutto il periodo delle trattative cerca di spingere per una soluzione pacifica attraverso la Società delle Nazioni, non indifferente al fatto che l’Etiopia fosse una nazione cristiana e in ottimi rapporti con il Vaticano.

Quando la Società delle Nazioni stabilisce le sanzioni per l’Italia appena entrata in guerra praticamente la totalità della società italiana si stringe attorno al regime, che a sua volta usa le sanzioni come strumento propagandistico per rafforzare l’idea di una nazione circondata da potenze ostili. È sicuramente il momento di più alto consenso per Mussolini e il fascismo, che crede forse di vedere realizzato il suo sogno totalitario. Come abbiamo già detto, il mondo cattolico non si esime dal manifestare il suo appoggio alla guerra abissina.

Sacerdoti e Camice Nere per le vie di Roma

Sacerdoti e Camice Nere per le vie di Roma

La seconda immagine è di Pubblico Dominio. Clicca per raggiungere la fonte. Le altre sono prese da Autobiografia del fascismo,a cura di Enzo Nizza, Sesto San Giovanni, 1974


Note:

[1] Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna, 2002, pp. 184

[2] Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, vol. 2, La conquista dell’Impero, Laterza, Roma-Bari, 1979, p. 335

[3] Lucia Ceci, Il Papa non deve parlare. Chiesa, fascismo e guerra d’Etiopia, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 69


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