Hamas: tra terrorismo e politica


Da qualche giorno a questa parte i telegiornali ci stanno restituendo immagini di guerra provenienti dalla Striscia di Gaza. Le radici di questo conflitto, come tutti sappiamo, sono antiche e contorte: il nostro esperto di Medioriente Enrico ci aiuta a fare luce su un aspetto particolare del conflitto israeliano-palestinese, spiegandoci in breve: cos’è Hamas?


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La notizia del rapimento di tre giovani seminaristi israeliani, ritrovati morti nei pressi della città di Hebron, ha fatto tornare alla ribalta delle cronache il conflitto israelo-palestinese. Subito i sospetti e le accuse dell’azione sono ricaduti su Hamas, movimento palestinese di ispirazione islamica fondato nel 1987 in coincidenza con lo scoppio della rivolta popolare nota come Intifada. Hamas è caratterizzato da un orientamento radicale secondo cui la distruzione di Israele sarebbe l’unico modo per porre fine all’occupazione di Gaza e Cisgiordania. I governi israeliani succedutisi nel tempo hanno condotto una lotta senza quartiere al terrorismo del movimento per garantirsi quella sicurezza necessaria a poter negoziare la fine del decennale conflitto. Nonostante ciò gli episodi di violenza non sono terminati: questo perché non si ha di fronte solo un gruppo di terroristi islamici da debellare ma una realtà complessa, con un’articolazione politica che si propone come rappresentante della causa palestinese. Nelle righe seguenti un quadro generale del movimento, dalla sua nascita fino agli eventi degli ultimi giorni, che rischiano di allontanare ancora una volta la prospettiva di una soluzione definitiva del conflitto.

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Hamas: tra terrorismo e politica

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La storia di Hamas inizia nel 1987. Nei territori di Gaza e Cisgiordania il controllo militare israeliano va avanti da venti anni, dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, con un’occupazione che impone dure condizioni di vita e limitazioni ai palestinesi. Sfruttando il casus belli dell’uccisione di due taxisti palestinesi, nel campo profughi di Jabalyya (Gaza) scoppiò una rivolta popolare fatta di lanci di sassi e disobbedienza civile: l’Intifada (“scrollarsi di dosso”). In questo contesto nasce Hamas, acronimo di Harakat al-Muqawama al Islamyya, “Movimento per la resistenza islamica”[1].
Fondato dallo sceicco Ahmed Yassin, Hamas nel suo statuto si pone l’obiettivo di distruggere Israele e sostituirlo con uno stato confessionale, islamico e palestinese: non esiste per il movimento altra forma per mettere fine all’occupazione se non il jiahd, “lo sforzo” della lotta contro i nemici dell’Islam[2].
Il movimento è stato operante già dagli anni ’70 come braccio dei “Fratelli musulmani”, la principale organizzazione islamista che predica la natura religiosa dello stato, ma proprio dall’87 inizia le azioni violente che contraddistinguono la prima fase. L’eliminazione dei palestinesi ritenuti collaborazionisti dell’occupante, le azioni contro obiettivi militari israeliani e gli attentati ai danni dei civili: così inizia l’attività del movimento, anche attraverso l’ala militare delle Brigate Izz a din al-Qassam. La base di Hamas è stata rappresentata da strati sociali bassi, puntando a raccogliere il malcontento e fare proseliti tra la popolazione per continuare la lotta a Israele. Due dei “feudi” non a caso sono la devastata Gaza e proprio Hebron, dove sono stati ritrovati i tre corpi senza vita degli studenti israeliani.

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Sulla particolare natura dell’occupazione ad Hebron da vedere fra gli altri il documentario “This is my land”, di Amati-Nathanson

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Hamas si è dotata nel tempo di una articolazione politica, concorrendo con la più moderata formazione di Fatah per le cariche delle istituzioni palestinesi; non è riuscita ad ottenere una rappresentanza maggioritaria fino al 2006, quando ha vinto le elezioni legislative. Proprio la necessità di affrontare il movimento come un interlocutore politico ha periodicamente avvicinato e allontanato il gruppo al partito fondato da Yasser Arafat, dando vita a sforzi per creare governi di “unità nazionale” contrapposti a fasi di duro scontro sulla linea da tenere nei confronti di Israele.
Hamas rappresenta uno dei fronti più critici nella storia della conflittualità israelo-palestinese. Tel Aviv continua a cercare di annientare quello che viene considerato un nucleo di terroristi entro i proprio confini, non riconoscendo il radicamento politico, oltre che ideologico, sul territorio; accettare come controparte per le trattative il gruppo islamista significherebbe confrontarsi con un altro soggetto a parte la spesso accondiscendente OLP, di cui Fatah è componente maggioritaria. Dall’altro lato fra i palestinesi non si riesce a trovare una vera convergenza: i riavvicinamenti Hamas-Fatah sono serviti strumentalmente ai due partiti per riguadagnare un sostegno più diffuso. Così anche secondo molte interpretazioni circa il recente riavvicinamento fra le parti.
Il recente episodio di cronaca si inserisce a pieno in questa storia. Hamas ha già rifiutato le accuse di essere mandante ed esecutore delle uccisioni ed Israele ha già avviato una controffensiva per colpire la centrale terroristica. Ancora una volta in corrispondenza di nuovi negoziati il problema-Hamas ritorna con tutta la sua esplosività: ma è solo uno dei molti fattori di complessità di uno scenario in continuo fermento.

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Note:

[1] “Al mukawama” è anche una formula nota al pubblico musicale italiano: è stato il nome di un progetto del componente dei 99 Posse, Luca Persico.

[2] Sul concetto di jiahd si veda, fra gli altri, dell’orientalista Gilles Kepel, Jihad: ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico, Roma, Carocci, 2001.

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