Fabio Filzi: una scuola nel ricordo. Terza parte
Con questo contributo il nostro Luca termina la parte dedicata al ricordo di Fabio Filzi. Partendo dalla scuola della sua piccola cittadina abruzzese, intitolata al giovane martire, si è ripercorsa la storia del sottotenente i cui ideali lo hanno portato a morire per la patria durante la Grande Guerra.
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di Luca Palumbo
E’ una sorta di limite culturale quello di analizzare il passato sentendolo troppo lontano dal nostro agire, dal nostro pensare, dal nostro modo di vedere il mondo. Ebbene quello che mi appresto a riportare in questo breve contributo conclusivo sulla vicenda Filzi, vuole rendere giustizia contro il pregiudizio sul quale affonda l’idea di una Storia distante, asettica, quasi noiosa, senza alcun legame con le nostre vite, un mero elenco di fatti e date da ricordare. In realtà non è questa la sede di fare l’apologia della disciplina ma lo scopo che mi prefisso è semplicemente quello di mostrare come uomini di cento anni fa condividano con noi uomini (e giovani soprattutto) del XXI secolo i medesimi sentimenti. Più ricerco nel passato e più vi trovo il presente. Soltanto un elemento, devo essere onesto, ci differenzia nettamente dai nostri avi. Loro avevano una luce guida, un’idea per cui battersi, una tesi da sostenere con forza, quello che Pirandello ha riassunto nella sua celebre lanterninosofia.[1] Oggi le lanterne irradiano una luce così fioca che non permette di vedere oltre il proprio naso.
Nei due precedenti contributi ho parlato del Fabio Filzi patriota, della figura storica, della biografia “istituzionale”, delle vicende che lo hanno reso immortale. Nelle prossime righe, che saldano il mio debito con il giovane morto per l’Italia, voglio mostrare il Fabio Filzi amico, innamorato, fratello; restituire una dimensione più umana possibile per dimostrare come i giovani che hanno difeso con la vita la nazione italiana, non siano stati così diversi da noi. Il primo contributo lo troviamo scritto da Fabio quindicenne nell’album di una cugina di Trieste[2]:
«Ora, vivaddio, che c’è la bandiera italiana, sia opera di tutti, giovani e vecchi, grandi e piccoli, di spargerne, di fondarne il culto. Sia pensiero e sentimento di tutti che la bandiera rappresenta l’Italia la patria, la libertà. L’indipendenza, la giustizia, l’onore di trenta milioni di concittadini, che per questo la bandiera non s’abbassa, non si macchia, non s’abbandona mai, e che piuttosto si muore, Questo devono imprimersi nell’animo i giovani e le giovani, e farsene una seconda natura.»
Prima di dare una lettura forviante basti sapere che non sono parole originali.[3] L’autore del pensiero è Massimo d’Azeglio, morto 18 anni prima che nascesse Fabio. Qualsiasi giovane ha il suo mito, la sua fonte d’ispirazione, il modello da seguire per quello che ha scritto o per le azioni che ha compiuto. Oggi è fin troppo facile vedere incarnata questa figura in un cantante o sportivo che sia. L’era del divismo, o meglio il bisogno del divismo, è montata inesorabilmente e non ha mai dato segni di cedimento. Più di cento anni fa i propri miti bisognava cercarseli. Erano poeti, politici, intellettuali che col loro pensiero hanno forgiato generazioni di italiani.
I fratelli Fausto e Fabio Filzi, foto tratta dal volume: Una vita nella Scuola Fabio Filzi, cit., p.66
Prima di analizzare un secondo contributo è doveroso aprire una breve parentesi nella vita dei Filzi. Fabio non era figlio unico, come ho accennato negli articoli precedenti. Tra i quattro fratelli vale la pena di ricordare Fausto Filzi (1891-1917) che ha condiviso la stessa sorte del maggiore. Aveva lasciato Rovereto senza concludere gli studi e si era trasferito in Argentina. Quando seppe dell’esecuzione del fratello non perse un momento: tornò in Italia, si arruolò, e morì in battaglia:
«Il 3 giugno in uno dei fieri combattimenti sull’altipiano di Asiago è caduto il sottotenente Fausto Filzi, nativo di Rovereto, il piu giovane fratello dell’avv. Fabio Filzi condannato al capestro con Cesare Battisti nel castello di Trento. Fausto Filzi occupava un posto cospicuo a Buenos Aires; ma quand’ebbe notizia della tragica fine del fratello volle tornare immediatamente in Italia ed arruolarsi volontario nell’esercito-il che fece a Milano- per vendicare il fratello. Suo scopo era di occupare nel Corpo degli Alpini il posto già tenuto da lui, ma non fu giudicato idoneo; passò invece all’artiglieria da fortezza ove presto fu assunto come aspirante ufficiale sotto il nome di Momi Spoldore. Era sotto le armi dai primi mesi di quest’anno. Cadde combattendo in qualità di ufficiale bombardiere.»[4]
Il 22 febbrario 1915, prima che l’Italia entrasse nel conflitto armato Fabio scrisse a Buenos Aires per riassumere al fratello la sua particolare condizione:
«Io mi trovo nel Regno già dai primi di novembre del 1914 e non ho trovato alcuna occupazione in causa della crisi imperversante nel paese. Ora mi trovo a Bassano, prestando servizi d’esplorazione allo Stato Maggiore e, appena la Patria si moverà, non mancherò di offrirle il mio sangue. Sono sempre vissuto con la speranza che le nostre terre venissero una volta o l’altra liberate dalla tirannide e dall’ipocrisia; ora mi sembra giunto il vero momento in cui si potrà raggiungere, combattendo, il trionfo del principio nazionale e la rovina della prepotenza e dello sfruttamento teutonico. Voglio sperare che, quando la presente ti verrà recapitata, le armi italiane si saranno già fatte onore…perchè l’intervento dell’Italia, benchè molto probabile, non è sicuro. Difatti continuano a fervere i preparativi bellici…»
Il contenuto della lettera tralascia totalmente gli aspetti privati. Ci si sofferma sulla situazione italiana, sullo stallo che si era posto tra interventisti e neutralisti, sulle tempistiche dell’intervento in guerra e soprattutto sul desiderio di combattere contro un nemico per cui si provava un odio ceco. Scrivere al fratello celava in realtà la voglia di comunicargli quello che si provava in quei giorni; renderlo partecipe del proprio sentire. Chi meglio di un fratello può capire cosa provi in certi momenti?
Un terzo contributo è molto più privato. Si tratta di alcune parti della corrispondenza che il sottotenente inviava alla sua amata Emma. Il 9 novembre 1915 da Verona le scriveva, dietro una fotografia:
«Alla mia Emma diletta quale segno piccolissimo del mio forte amore inestinguibile, e quale ricordo dell’ora solenne, sublime e fatidica, che attraversa la Patria.»
Veduta della Lessinia dal Monte Calvarina. Foto utente Flickr Nick1915, CC, clicca per raggiungere la fonte
Il 26 novembre, dopo la marcia sul Monte Calvarina, Fabio scrive nuovamente:
«Vedo le fantastiche nevose cime che indicano alle allegre truppe marcianti, il cammino radioso della vittoria e della redenzione sono il Pasubio, il passo della Borcola, il Monte Maggio, senti nelle ormai avanzate, che ci additano la via alla nostra Rovereto. Verrà, verrà presto il giorno in cui la cara patria avrà raggiunto lo scopo giusto e sacro, che la spinse a sguainare la spada valida e valorosa. Vi sono dei momenti in cui vorrei sintetizzare in un attimo tutte le vicende emozionanti del nostro amore, dalla nostra conoscenza al fidanzamento, al distacco violento e doloroso, che mi trascinava alla pugna per una causa da noi detestata, all’apparizione tua e della mamma mia adorata a Innsbruck. Fausta apparizione che liberandomi valse a ravvivare la speranza…»
Il ricordo dell’amata aiutava ad alleviare la sofferenza di quei momenti, la fatica della vita in trincea ed in battaglia, senza però mai perdere di vista l’afflato patriottico dell’impresa. Ogni volta che sembra farsi spazio un momento più privato con Emma, torna prepotente il leitmotiv della vita di Fabio, la lotta per la patria italiana. Il 4 giugno 1916 continua con lo stesso motivo:
«Qui in mezzo alla neve, al freddo, mentre imperversa la bufera, sotto la tenda rivolgo a te il pensiero di nostalgia immensa. Mo ho fiducia, grande fiducia…ed orgogliosi tutti e due, potremmo dire di aver adempiuto il nostro dovere verso la Patria.»
L’ultima lettera inviata all’amata Emma è datata 9 luglio 1916, pochi giorni prima di morire. Nulla sembra presagire la cattura da parte degli austriaci. I momenti di difficoltà per la conquista della vetta maledetta, il Monte Corno, vengono riportati ma di certo edulcorati per non far preoccupare la giovane:
«Se vuoi sempre mie notizie, richiamo la tua attenzione sul Corriere del 6 corr. Nel punto che parla del raggiungimento della vetta del Monte Corno. E’ questo tutto roccia, brullo, scosceso, insidioso, per modo che il raggiungimento ci costò non pochi sacrifici, né poche difficoltà. Fra breve il nostro battaglione, almeno cos’ si dice, verrà messo a riposo.»
Nella stessa giornata del 9 luglio, il sottotenente Filzi invia una seconda lettera, questa destinata al sindaco di Arzignano, paese che lo ospitò prima di partire per il fronte. Queste le sue parole:
«Di qui non si passa e «sempre avanti» sono i nostri motti. Dobbiamo vincere a tutti i costi. Saluti al sign. Danieli, e a tutti gli amici, e una stretta di mano a Lei.»
Una vita spesa per la causa italiana, quella di Fabio Filzi. Un unico pensiero fisso nella mente di un giovane che senza paura ha donato la vita per l’unità nazionale. Un esempio per chiunque voglia porsi un’obiettivo da raggiungere: tenacia, perseveranza, forza e sacrificio. Dobbiamo trarne obbligatoriamente un insegnamento. Solo così il ricordo dei tanti Fabio Filzi della storia italiana può rimanere vivo nella nostra memoria. Si potrà fallire, certo, ma com’è bello fallire quando si è dato tutto quello che si aveva.
La scuola Fabio Filzi, oggi. L’edificio è in disuso. Opera propria.
Dove non altrimenti specificato, le immagini sono di Pubblico Dominio. Clicca per raggiungere la fonte.
[1] Cfr. L.Pirandello, Il fu Mattia Pascal, cap. XIII
[2] Per evitare inutili ripetizioni si fa presente che tutti gli scritti e le lettere qui riportati sono contenuti nel libro: “Una vita nella scuola Fabio Filzi”, Premio Elvira Cappella Zanoni, Alba Adriatica, 2004
[3] Massimo d’Azeglio e Diomede Pantaleoni, Carteggio Inedito, L. Roux e C. Editori, Roma-Torino-Napoli, 1888
[4] La Domenica del Corriere, 22/29 Luglio 1917, p.7
Bibliografia:
- O. Ferrari, Martiri ed eroi trentini, Trento, 1925
- C. Ambrogetti, I fratelli Filzi (con prefazione di B. Mussolini), Firenze, 1934
- C.Gattera, C. Calenco, G. Menotti, Cesare Battisti e Fabio Filzi ultimo atto. La verità sull’attacco al corno di Vallarsa, Rossato, 2008
- M. Albertazzi (a cura di), Atti dei processi Battisti, Filzi, Chiesa, La Finestra editrice, 2012