di Bruno Cherubini

Zheng He

Zheng He, traslitterato anche come Cheng Ho, nacque nello Yunan nel 1371 con il nome di Mo Sambao. Nato da una famiglia musulmana, a soli undici anni venne catturato dalle truppe imperiali cinesi capitate nella regione per arrestare un’incursione mongola. Venne evirato, ed entrò nella corte dell’imperatore Yongle, dove fece presto carriera fino a diventarne uno dei suoi consiglieri. Al termine del suo pellegrinaggio alla Mecca, nel 1405, gli venne affidata una grande flotta con il compito di stabilire il dominio cinese sull’Oceano Indiano. Questa era davvero gigantesca: almeno 200 o 300 navi per circa 27000 persone, e comprendeva, oltre ai marinai, soldati, artigiani, funzionari, artisti, addirittura mandrie di bestiame per il sostentamento in mare.

“Ogni cosa aveva il suo posto. Le navi più grandi accoglievano il comandante e il suo seguito ed erano enormi. Le stime della loro grandezza variano, ma è certo che superavano gli 80 m di lunghezza, raggiungendo, secondo alcuni, 126 m. Avevano nove alberi. C’erano poi navi con otto alberi, destinate al trasporto dei doni e dei tributi; navi per i rifornimenti, a sette alberi; navi che trasportavano i soldati, a sei alberi. E poi navi via via più piccole, da ricognizione, da guerra e scorta, nonché navi che portavano la riserva d’acqua necessaria alla flotta per un mese.”

(Ilaria Luzzana Caraci, Al di là di altrove. Storia della geografia e delle esplorazioni, Milano, 2009, p. 256)

Zheng He compì con la sua flotta sette viaggi, tra il 1405 e il 1433. I primi tre, svoltisi tra 1405 e 1411, lo videro spingersi sulle coste dell’asia sudorientale, indiane e cingalesi. Durante il quarto e il quinto, tra 1413 e 1419, toccò Hormuz e le Maldive, le coste africane, Aden e il Golfo Persico. Il sesto viaggio, 1421-1423, fu dedicato all’esplorazione dell’area occidentale dell’Oceano Indiano. L’ultimo viaggio, tra 1430 e 1433, ripercorse l’Oceano Indiano da Giava fino a Hormuz.

Nonostante sia ricordato come un grande esploratore, Zheng He non scoprì effettivamente nulla, poiché l’Oceano Indiano e la sua geografia erano già da tempo conosciuti, almeno generalmente, dai cinesi. Di sicuro le sue imprese ebbero dell’eccezionale, per la dimensione delle sue flotte e per la lunghezza dei suoi viaggi, ed ebbero come effetto la crescita dell’influenza dell’Impero Celeste sui mari dall’Indonesia alla penisola arabica. Con il tempo però, dopo la morte dell’ammiraglio nel 1433, i funzionari imperiali si resero conto che i costi delle spedizioni superavano i benefici, e la politica di dominio marittimo venne perciò abbandonata. Gli imperatori Ming fecero addirittura distruggere i resoconti degli ultimi viaggi di Zheng He.

Quest’ultimo fatto ha portato alla nascita di un’interessante leggenda sull’ammiraglio cinese: secondo alcuni egli avrebbe infatti, nel corso di ipotetici viaggi non documentati, nientemeno che scoperto l’America più di settant’anni prima del viaggio di Colombo, nel 1421. Non sono per niente rare le ipotesi di descubrimentos precedenti a quello colombino, che solleticano spesso sentimenti nazionalistici dei cosiddetti studiosi che le propongono, e nella storia ne sono state presentate molte e molto fantasiose. Recentemente la cosiddetta “teoria del 1421” è stata rilanciata da Gavin Menzies, ex ufficiale della marina britannica, che nel 2002 fece pubblicare il suo libro 1421. The Year China Discovered the World. Addirittura, Zheng He avrebbe scoperto non solo l’America, ma l’Australia, la Nuova Zelanda, l’Antartico e sarebbe arrivato perfino in Groenlandia. L’uscita del libro fece molto scalpore e divenne una sorta di bestseller, ma venne sostanzialmente ignorato, se non duramente criticato, dalla comunità scientifica mondiale. Per sostenere la sua ipotesi Menzies portò quella che sarebbe dovuta essere la prova definitiva: una carta geografica cinese del 1763 comprendente l’intero globo, Americhe e Oceania compresi, che sarebbe dovuta essere la copia di un originale quattrocentesco. Alla notizia venne dato subito grande risalto, ma il fatto venne presto sconfessato dalle autorità cinesi e la mappa del 1763 venne riconosciuta come basata su una delle tante disegnate dai missionari gesuiti in Cina. Al di là delle questioni di cronaca, utili a comprendere il carattere tutt’altro che scientifico dell’ipotesi del 1421, c’è un fatto che sembra essere stato ignorato dal Menzies, che rende difficilmente credibile l’ipotesi di viaggi transoceanici di tale portata: le dimensioni della flotta di Zheng He e la tecnologia con cui venivano costruite le navi cinesi dell’epoca. Questi due fattori praticamente impedivano la navigazione in mari sconosciuti dei giunchi imperiali, che erano oltretutto pesanti, poco manovrabili e instabili, motivo per cui raramente si avventuravano molto oltre la linea costiera.

Zheng He, insomma, fu un grandissimo esploratore, e le sue imprese hanno comunque dell’incredibile: musulmano, da eunuco di corte divenne ammiraglio, a bordo di una città galleggiante viaggiò in lungo e in largo per tutto l’Oceano Indiano; non scoprì però l’America, né tutto il resto del mondo, in una manciata d’anni, come alcuni vorrebbero, forse più per alimentare la propria fama piuttosto che quella dell’esploratore cinese.


Letture:

  • Ilaria Luzzana Caraci, Al di là di Altrove. Storia della geografia e delle esplorazioni, Milano, 2009

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